Racconti tra le dita
Racconti come ciliegie: uno tira l’altro. Ventiquattro brevi viaggi tra le infinite sfaccettature dell’amore. Ventiquattro storie narrate con sensibilità, a volte con tristezza, altre con passione. Ventiquattro racconti scritti con disincanto e una profonda consapevolezza: l’amore non può essere imbrigliato, circoscritto, trattenuto. Nonostante la convinzione, sovente illusoria, di poterlo stringere, esso sfugge scivolando sui palmi delle mani come sabbia tra le dita. O come polvere di stelle.
Lingua: italiano
Lunghezza: circa 26200 parole (tempo di lettura: 82-120 minuti)
Prezzo: Gratis
Autore: Claudio Gianini
Download: non disponibile
Estratto:
Il Primo Amore non si Scorda mai
Milano.
Via Canonica, dalla parte in cui questa si incontra con la via Paolo Sarpi. Questa zona della città viene ormai definita unanimemente la “chinatown” milanese, tanti sono i cinesi a popolarla. Ed in effetti è davvero difficile incontrare dei visi dai tratti europei. Mia moglie ed io stiamo camminando nella direzione dell’Arena, percorrendo il marciapiede sulla sinistra della strada. Ad un certo punto la via si allarga, aprendosi a seguire la folle topografia dell’edilizia urbana, sviluppatasi in quello strano modo per misteriosi motivi. L’area è stata bombardata, durante la seconda guerra mondiale, e palazzi di realizzazione più recente si affiancano ad edifici più antichi. Forse è stato questo. Nella fretta e nella disperazione della ricostruzione post-bellica si è badato poco alla conformazione che avrebbero assunto le strade. Questo slargo si apre un poco prima dell’incrocio tra la via Cagnola, la via Giusti, la via Morazzone e, appunto, la via Canonica. Al punto che quel tratto potrebbe tranquillamente essere definito “piazza” o “largo”. La piazza Morselli, situata un poco più avanti sempre lungo la via Canonica, è molto più piccola di questo spiazzo ed è stata definita, appunto, piazza.
È il tardo pomeriggio di un sabato primaverile. La temperatura è gradevole e una lieve brezza soffia leggera. Il cielo è limpido, tinto da un azzurro via via più scuro mentre il sole sta ormai tramontando. A Milano ci sono giornate così, considero con una certa nostalgia. Proprio questa malinconia mi ha spinto a fare un giro nelle vie della mia infanzia, nel quartiere in cui sono nato e cresciuto. Dove sono vissuto per oltre trent’anni.
Siamo appena sbucati nello “spiazzo che non è una piazza”, dopo aver percorso in fila indiana lo stretto marciapiede che lì conduce. Un donna, con in mano una borsa della spesa e con due marmocchi al seguito, ci viene incontro. È europea. E i due marmocchi non sono poi così piccoli: il più grande avrà dieci anni, l’altro forse sette, ipotizzo. Guardo la madre, mentre la distanza tra noi si fa a mano a mano meno distante. La conosco, non posso sbagliarmi. Il mio cuore prende a battere con più forza. Sì, è lei. Anche la donna mi sta fissando, mentre cammina. Forse anche lei mi ha riconosciuto. I nostri sentieri si stanno ormai incrociando. I nostri volti volti l’uno verso l’altra. Passiamo oltre e la distanza tra noi torna ad aumentare, i visi nuovamente fissi davanti al nostro cammino. Ma dopo pochi metri entrambi ci arrestiamo e ci giriamo, quasi all’unisono. La donna poggia la borsa a terra e si porta le mani al viso sorridente. Anche le mie labbra si piegano, mentre torno sui miei passi per raggiungerla lì dove si è fermata. Anche i due bimbi, per quanto impegnati a giocare, discutere, litigare tra loro, si sono resi conto che la mamma si è presa una pausa dal proprio incedere. E, incuranti di quanto sta accadendo, proseguono nella loro attività in attesa di riprendere il cammino interrotto. Mia moglie mi segue, restando leggermente in disparte. Ormai ho raggiunto la donna.
“Michela!”, esclamo.
Un bacio tra vecchi conoscenti, vecchi amici.
“Claudio. Ti ricordi di me, dopo tanti anni!”, risponde lei.
Come posso dimenticarmi di lei? È stata il mio primo amore, quando eravamo compagni di classe in prima media. Quando frequentavamo l’edificio che si trova a pochi passi da noi, in via Giusti: la scuola media Luigi Einaudi. Sono trascorsi più di vent’anni e un’infinità di cose sono accadute alle nostre vite. Lei ha due figli, io sono sposato.
Ci guardiamo, entrambi incapaci di parlare. È ancora bellissima, sembra ancora quella di tanti anni prima. Il viso triangolare, un delizioso nasino alla francese, due intensi occhi color nocciola, i capelli naturalmente ricci tra i quali si intravede qualche filo d’argento, un sorriso incantevole.
Il bimbo più piccolo interviene a rompere quell’atmosfera, tirando la mamma per mano, invitandola a proseguire. Io la guardo ancora. All’età di undici anni il suo seno non era certo sviluppato. Ora, oltre agli anni, ci sono due allattamenti a dare una mano alla forza di gravità. Tuttavia il suo fisico ha reagito bene e la trovo in forma. Nel frattempo lei è riuscita a convincere il figlio a portare pazienza ancora qualche minuto. Il piccolo è tornato dal grande e i due hanno preso a rincorrersi sul marciapiede, giocando un gioco noto solo a loro.
Anche lei mi sta studiando. E anche io ho i miei chili di troppo. Qualche capello in meno. Una barba che sul volto di un undicenne era difficile persino immaginare. Unica costante gli occhiali. Li portavo già allora, forse troppo grandi, a coprire il viso ancora di un bimbo.
…continua…