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Il diario stenopeico di Kevin Paloma, scritto nella camera oscura interiore dov’e’ possibile, proprio come nella fotografia stenopeica, spiare il mondo da un foro di pochi millimetri per osservare cio’ che ci circonda in maniera diversa, utilizzando un modo di relazionarsi estremamente visionario.

Lingua: italiano

Lunghezza: circa 25600 parole (tempo di lettura: 80-116 minuti)

Prezzo: Gratis

Autore: Marco Benazzi

Download: non disponibile

Estratto:

L’UOMO CHE CONTAVA I SORRISI
Marco Benazzi

C’è stato un momento in cui ogni mia giornata trascorreva lenta come una coda sulla Salerno – Reggio Calabria. La notte la passavo, in buona parte, a fissare il lampione stradale che illumina l’ingresso laterale al giardino pubblico. Il mattino ero un morto in piedi, distrutto come dopo un match di boxe contro Joe Lewis e, tra un round e l’altro, una partita a scacchi contro Bobby Fisher. Alzarsi era una lenta agonia e quel terribile senso di prostrazione mi seguiva lungo l’intero arco della giornata. Mi sentivo l’insofferenza personificata e avevo come unico obiettivo quello di sparire definitivamente dalla faccia della terra. Ero diretto al capolinea di un autobus senza conducente, avendo da tempo prenotato inutilmente la mia fermata. La notte tra il 14 e il 15 febbraio 1993, mi sparai un mezzo litro di assenzio casereccio che un amico mi regalò per Natale, e puntai la strada che portava al fiume dell’oblio barcollando come se indossassi i tacchi a spillo. Quello che accadde da quel momento in poi, è opera dell’omino che custodisce i destini degli uomini perduti.
Accanto all’arcata centrale del Ponte Vecchio, disteso su di un giaciglio realizzato con cartoni e fogli di pluriball a far da spessore, coperto da una vecchia imbottita di quelle pesanti come macigni, giaceva il corpo senza vita di un compagno di sbronze, tra le mani stringeva la foto degli amici che negli ultimi anni avevano raccolto le sue confidenze nelle lunghe e fredde notti passate all’aperto e il suo viso era disteso e sorridente come se avesse appena finito di far l’amore. Quella foto era stata scattata da me, ed ero presente anch’io, avendo utilizzato l’autoscatto, e l’emozione che mi trasmise osservandola in maniera profonda, era data dai volti sorridenti dei soggetti fotografati. Il sorriso non era di plastica come spesso si è costretti a sfoggiare davanti ad un obiettivo, ma di quelli provenienti direttamente dall’anima. E’ difficile spiegarsi chiaramente quando in gioco c’è la vita, ma sta di fatto che quella istantanea mi rasserenò lo spirito convincendomi a cercare di far sbocciare “i sorrisi dell’anima” al maggior numero di persone. Mario, 45 anni, originario di Castellamare di Stabia: barba lunga, sempre trasandato, spesso con in mano una bottiglia di sangiovese, che in pratica costituiva il suo pranzo, era stato scenografo in uno storico teatro di Roma e un suo film finì premiato al Festival di Cannes. Era un clochard molto sui generis, lettore onnivoro, l’ultima volta che lo incrociai, mi sorprese con una richiesta particolare, voleva assolutamente che gli procurassi “Uomini piangenti” di un certo Kevin Paloma, autore a me sconosciuto. Dopo aver garantito, con una colletta tra gli amici, una degna sepoltura allo sventurato amico, Dante, il suo amico per la pelle, con gli occhi gonfi di lacrime, mi consegnò un manoscritto autobiografico che Mario scriveva la notte prima di addormentarsi.
Era il racconto di un uomo che stava tornando a casa, dal lavoro, come ogni sera. Ottimo impiego, famiglia dell’alta borghesia. Aveva da poco tempo perso l’amata moglie, e al contempo era stato colpito da una grave accusa di tentata corruzione. Quell’uomo, stanco e deluso dalla vita, si sedette sotto il Ponte Vecchio per riflettere e riposare e quella divenne la sua nuova casa. Non fu una scelta romantica la sua, divenne un clochard senza saperlo, come se il ladro di sorrisi lo avesse addormentato lentamente derubandolo del bene più prezioso. Con passare del tempo, Mario ha proseguito la sua storia di ordinaria miseria, recuperando pian piano la voglia di sorridere e di contagiare il mondo piccolo che ogni giorno frequentava. Quando vedeva emergere nell’animo dei compagni e dei passanti la disperazione, la sofferenza, quell’umore nero che affligge l’uomo e lo porta a non avere uno scopo nella vita, passava ore, giorni, settimane, mesi a cercare di far rinascere un sorriso di felicità, di quelli a bocca aperta, che scoprono i denti superiori ed inferiori, che evidenziano due rughe che partono dal naso e arrivano agli angoli della bocca facendoli stirare, che sollevano la pelle sotto la palpebra inferiore, formando nell’occhio le “zampe di gallina” e quella delle guance, tanto da restringere gli occhi. L’identikit del sorriso dell’anima. Poi, una volta raggiunto l’obiettivo, teneva un elenco aggiornato, giorno dopo giorno, dei sorrisi strappati. Al termine di quella commovente lettura, mi resi conto che l’eredità di Mario era proprio quella di continuare il percorso esattamente da dove lui lo aveva bruscamente interrotto. Ma prima, dovevo trovare assolutamente il libro di quel tal Paloma…

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