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Le Cose Perdute

3 min read

Una nuova raccolta di racconti dell’autore de ”La Resa”, che propone quindici brevi ”fotografie”, crude, graffianti e intensamente reali.

Lingua: italiano

Lunghezza: circa 9000 parole (tempo di lettura: 28-40 minuti)

Prezzo: Gratis

Autore: Emiliano Bertocchi

Download: non disponibile

Estratto:

Le Cose Perdute

Qualcosa si era persa nelle pieghe degli anni, tra i riflessi degli specchi, nella caduta della cenere delle sigarette, ferite tumorali aperte e parlanti. Cellule disintegrate, sangue infetto, sporcizia diffusa nel corpo, sotto le unghie, frammenti di epidermide come coriandoli di un carnevale senza gioia e musica. Coriandoli di pelle sparsi in macabre danze, tra grottesche maschere. Coltelli e lame insanguinate, tagli profondi all’altezza del torace, delle gambe, della gola, dei polsi.

Camminavo curvo, con una tosse perenne. Camminavo sotto il peso di perdite, rimorsi, paure. Avevo una stanza in affitto in un vecchio albergo. Le ringhiere in ferro dei terrazzini mi facevano venire in mente il vago ricordo di un’epoca felice, luminosa, nella quale i respiri erano ancora così naturali, pieni, indispensabili. Acqua che scorre dentro secchi bianchi e blu. Il mercato del pesce. Mani che sventrano e sbudellano. Il sole a illuminare l’acqua in quei secchi. Un profumo improvviso. Un tempo sapevo cosa significasse essere felici.

Lunghe camminate sulla scogliera. Il vento forte tra i capelli grigi e radi. Mani dietro la schiena, intrecciate, in un ultimo e patetico contatto con me stesso. E guardare lontano, verso l’orizzonte, nelle giornate di pioggia sentivo più forte che mai il bisogno dell’oppio, delle notti d’oriente, delle ombre danzanti. Le nuvole grasse, gravide di pioggia, madri puttane di vite bastarde, sputate sulla terra, a far germogliare piante e alberi e nuove illusioni; da quelle scogliere, risalire fino in cielo e volare tra i venti tumultuosi di tempesta, oltre il confine delle stelle, più in alto per poi ricadere come macigno, meteora sul mondo, profonda frattura della terra e ferita di magma, solitario, in cima ad una scogliera, la forza degli elementi, l’attesa del ritorno, di una cena silenziosa, di un mondo di cui non farò più parte, guardare lontano, perso in una ebbrezza marina. Avevo bisogno di altro oppio.

Tra i viottoli di Bonifacio, salire lungo i muri, schiacciato come un’ombra tra le crepe della vita, topi che correvano sotto i miei piedi, strane e improvvise paranoie, la ricerca dell’oblio e un insano orrore, l’odore della malattia e della decomposizione, l’odore della terra, avevo una testa di scimmia imbalsamata sul comodino della mia camera d’albergo.

Chino, gli occhi bassi, una lapide dimenticata.

Le cose perdute, i volti scomparsi, le parole rubate dal tempo, tutto mi divora dall’interno, come un gigantesco e insaziabile verme affamato, non vi è pace nelle notti insonni, nei vagabondaggi del giorno, nelle attese, nelle estatiche contemplazioni, tra le pagine dei libri, tra i voli della fantasia, non vi è più pace e rifugio in nulla che possa toccare con mano e fare mio.

Le cose perdute.

A eterna testimonianza di questa miseria.

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