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Spicchi di Realtà

4 min read

Dallo stesso autore di Punto di rottura una antologia con diciannove racconti brevi – emozionanti e vari per tematiche e stile.
Lingua: italiano
Lunghezza: circa 19100 parole (tempo di lettura: 60-86 minuti)
Prezzo: Gratis
Autore: Claudio Gianini
Download: non disponibile
Estratto:

Quella Sera

    Quella sera il cielo era uno dei più belli che avessi mai visto. Mentre salivo in automobile verso le colline, le nuvole si stavano diradando e dopo una giornata di pioggia quello spettacolo era una vera benedizione. I colori che riempivano l’aria andavano dalle fredde sfumature grigie delle nuvole con sprazzi di blu al caldo rosa arancione del sole il quale, ormai stanco per aver cercato così a lungo di bucare quella coltre, era pronto a riposarsi per la notte; e la luna, una piccolissima falce, quasi un’unghia, mandava una flebile luce nella rimanente parte della volta celeste.
Fermai l’auto. Quello era il punto migliore per godere di quello spettacolo. Lo sapevo perché da lì ero passato un’infinità di volte. C’era un’altra vettura, ferma in quello stesso luogo, e subito non mi accorsi della presenza del proprietario. La donna stava lì, stretta nel suo stesso abbraccio come a proteggersi dal freddo e dall’umidità. O per difendersi dalle tristezze della vita. Il capo chino a contemplare nella direzione della valle mi fece pensare che doveva aver passato dei brutti momenti. Guardai anch’io da quella parte. Le nuvole basse avvolgevano tutto quanto al disotto di una certa quota; e i rilievi più alti spuntavano quasi come isole in quel mare di nebbia densa. I rumori della strada arrivavano affievoliti dalla distanza. La vista di quel paesaggio era altrettanto splendida di quella che si presentava alzando gli occhi. Ora la luce si era ulteriormente attenuata e cominciavano a vedersi anche le prime stelle. Volevo restare a bere quelle immagini quanto più a lungo possibile, ma avevo paura di aver invaso quello che mi parve il più triste momento di intimità di quella donna. Mi girai per andarmene, e così facendo la guardai. I nostri occhi si incrociarono per un solo, fugace istante, nel quale avvertii tutto il dolore che può essere comunicato con un semplice sguardo. Non era bellissima, ma la dolcezza dei suoi lineamenti faceva risaltare ancora di più la sofferenza di una ferita recente. Il viso era solcato da lacrime salate, sgorgate dalla fonte di due occhi la cui profonda intensità mi colpì con inaudita energia. Mi incamminai verso l’automobile, deciso a non disturbare oltre la solitudine di una persona che vuole vivere fino in fondo il proprio dolore. Troppe volte avevo provato quella stessa esigenza per indugiare ancora. Non avevo mosso che pochi passi quando la donna parlò, con una voce morbida perfettamente intonata alla sua figura:
“Non te ne andare, solo perché ci sono io”.
Mi fermai e, voltandomi, le rivolsi uno sguardo interrogativo; forse il momento in cui i nostri occhi si erano incontrati poco prima le aveva raccontato di me più di quanto potessi immaginare perché continuò, dicendo:
“Chiunque si fermi per meravigliarsi di fronte agli spettacoli che la natura a volte ci propone, merita di goderseli fino in fondo. Per favore rimani, se vuoi.”
Aveva colpito nel segno. Mi avvicinai un poco, mettendomi accanto a lei a contemplare il cielo e la valle. Restammo in silenzio per alcuni minuti. Mi voltai per guardarla meglio: non era giovanissima, e probabilmente aveva più degli anni che dimostrava. Nell’insieme era graziosa ed attraente. Ricambiò con fermezza il mio sguardo. Non aveva timore di mostrarmi le tracce del suo pianto recente. Impacciato, le sorrisi.
“Mio figlio”, disse.
“Piango per mio figlio. Ha 16 anni, compiuti da poco. È così giovane, ma ha già preso piena coscienza di sé e del mondo. Oggi, non so dire dopo quale altro avvenimento gli sia capitato, in lacrime mi ha chiesto, con la rabbia nel cuore e la morte negli occhi, perché mai lo avessi messo al mondo. È stato come un pugno nello stomaco, mi è mancato il fiato per la violenza di quella domanda. Non ho saputo rispondergli e forse, in quel momento, è stato meglio il silenzio.”
Tacque, mentre io continuavo a guardarla. Non potevo neanche lontanamente immaginare cosa potesse provare quella madre che sicuramente aveva fatto di tutto perché la vita di suo figlio fosse la più serena possibile. Cercai di capire, mi sforzai di capire, tornando con la mente ai periodi più bui della mia esistenza. E trovai, sepolto nei recessi del mio cuore, quanto stavo cercando. Il ricordo di me, di un ragazzino alle prese con il cuore e la mente accesi da mille entusiasmi, con le cocenti delusioni che solo i sogni infranti possono infliggere, con gli amori impossibili e le passioni brucianti.
E capii.
Capii tutta la stanchezza che segue la lotta per ottenere ciò che si desidera, senza poi raggiungerlo. Capii che la domanda, formulata in un momento di estrema disperazione, nascondeva anche un abbozzo di idea suicida. E lo capiva anche la donna. La sua voce mi strappò dai miei pensieri:
“Gli ho trasmesso questa maledizione, questa dannata percezione della vita. A vent’anni forse non ci pensi tanto; credi, anzi sei sicuro, che il meglio debba ancora venire, che il mondo sia lì, per te, pronto per essere conquistato… Ero convinta di avere qualcosa di bello da insegnare ai miei figli.”
Parlai per la prima volta, da quando mi ero fermato:

…continua…

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