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Conta il Racconto che Conta

I cinque racconti vincitori del primo concorso letterario indetto da Racconti&Letteratura (rispettivamente di Massimo Canetta, Carlo Guastalla, Maria Gloria Caviglia, Paolo Mazzoli e Alberto Angelici)
Lingua: italiano
Lunghezza: circa 18600 parole (tempo di lettura: 58-84 minuti)
Prezzo: Gratis
Autore: AA.VV.
Download: non disponibile
Estratto:

L’albero della memoria

Massimo Canetta






Ebbi un brivido imboccando lo stretto passaggio che s’inoltrava nel bosco.
Erano anni che non mi fermavo alla villa. Quella mattina passai vicino al fiume, per una commissione e decisi di svoltare al bivio per il paese quasi involontariamente. La macchina sobbalzava ed io ero costretto ad un’andatura che non ricordavo da quando imparai a guidare. Cominciavo a divertirmi, ogni buca era divenuta una scommessa.
L’aria era fredda ma mi venne voglia di abbassare i finestrini per assaporare l’odore della campagna. Lo feci e l’aria frizzante pervase l’abitacolo facendo uscire quel terribile odore provocato dall’aria riscaldata dal motore.
Vidi la villa in lontananza e mi tornarono alla mente immagini ormai dimenticate da anni. D’un tratto gli odori della campagna divennero, o meglio ritornarono, gli odori della mia infanzia, delle corse nei prati e delle interminabili partite di pallone.
Guardai l’orologio digitale del cruscotto e notai che cominciavo ad essere in ritardo. Mi assalì la preoccupazione di non riuscire ad effettuare la commissione che mi era stata affidata. Per qualche secondo rimasi indeciso su cosa fare, poi capii che quella non era la giornata per identificare cos’era giusto e cos’era sbagliato. Non era ciò che insegnavo ai miei figli, però quel giorno era così e basta.
Ripresi a guidare, con quell’andatura ridicola, lenta e traballante, decisamente diversa da quella scattante e frenetica che ogni mattina mi costringeva a mandare all’inferno più della metà delle macchine che incrociavo sulla mia strada.
Giunsi al cancello, fermai la macchina e scesi, poggiando i piedi sulla terra, indurita dal freddo.
Il cancello era chiuso con un lucchetto. Mi ricordai che avevo sempre, da quando me ne andai, la chiave di quel lucchetto nel portafogli. Non me ne sono mai separato, quasi per paura di perdere quel legame che mi univa alla villa, anche se poi non ci tornavo da anni.
La chiave era lì, sotto alla fotografia dei miei due bambini. La presi e la infilai nel lucchetto.
Mi tremavano le mani, probabilmente per il freddo. Quando scattò la serratura la catena cadde a terra e il cancello ebbe un tremito; con una leggera spinta lo aprii.
Entrai nel giardino, camminando nell’erba bruciata dal gelo dell’inverno. Le erbacce arrivavano alle ginocchia, anche se ripiegate su se stesse per la morte che le aveva colpite con le prime gelate.
Solo qualche erba autunnale stava ritta in quella posa di sfida verso il destino perverso che l’aveva concepita.

…continua…

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