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La crisi di un detective

14 min read

Un romanzo articolato e coinvolgente nel quale dialoghi e stile catturano il lettore fin dalle prime pagine. Dice l’autore di questo testo: ”si tratta di un racconto giallo ambientato in Romagna, più precisamente a Cesena, la città dove vivo da sempre, con qualche richiamo, però, alla storia italiana dell’immediato dopoguerra.”
Lingua: italiano
Lunghezza: circa 49000 parole (tempo di lettura: 154-222 minuti)
Prezzo: Gratis
Autore: Marco Benazzi
Download: non disponibile
Estratto:

Capitolo I

Erano circa le quattro pomeridiane e il campanello del mio appartamento prese a suonare incessantemente. Io me ne stavo beatamente sdraiato sul divano a cercare di risolvere un complicato rebus dalla pagina della sfinge. Smisi dunque di pensare ai vocaboli possibili, deposi il settimanale enigmistico e andai ad aprire. Spinsi il pulsante che azionava l’apertura del portone e rimasi ad aspettare nell’ingresso. Qualcuno saliva le scale e ansimava ancor prima di giungere in cima. Era Emmanuele Antonelli Bagattini, marito di mia sorella. Alto, sui quaranta, scuro di carnagione e di capelli, dalla figura massiccia, un po’ sovrappeso. Buon giocatore di biliardo, era stato in gioventù un discreto mediano di spinta ma problemi di vista gli avevano precluso un eventuale carriera. Era ridotto in condizioni a dir poco pietose. Le spalle gli cadevano a siluro, quasi fossero carne senza alcun sostegno scheletrico-muscolare, come un vecchio materasso da caserma; la pelle del viso tesa e arrossata, gli occhi affossati e fissi verso il nulla, la cravatta che fuoriusciva dalla giacca ed il colletto della camicia sbottonato. Il suo aspetto era da vero disperato. Esordì: “Ho urgente bisogno di parlarti, Antonio.” “C’è qualcosa che non va’?” “Praticamente tutto. Devo assolutamente confidarmi con qualcuno che mi è amico, perché sono in un mare di guai.” Lo feci accomodare. Mi seguì lungo l’ingresso, come fosse un robot. Gli offrii una poltrona e lui vi si gettò a peso morto. ”Avanti, parla”, cercai d’incoraggiarlo. ”Che è successo di tanto grave?” Mi diressi verso il mobile bar. Presi una bottiglia di whisky, due bicchieri e ne versai tre dita in entrambi. Glielo porsi. Lo squadrò, con lo sguardo assente, vuoto, tipico di chi non vede. ”Bevi, Emmanuele.” Prese alla lettera il mio invito e vuotò il bicchiere d’un fiato senza probabilmente assaporarne il contenuto, lo appoggiò sul tavolino e prese a guardarmi senza vedermi. ”E’ successo qualcosa fra te e Simona?” E Simona è mia sorella e tua moglie, l’unico punto in comune che abbiamo. Altrimenti perché mai saresti qui?” “Simona sta benissimo”, disse. ”Non è per lei che sono qui. “Quello che ha bisogno di aiuto sono io, Antonio. Di un grosso aiuto.” Staccò lo sguardo dal punto fisso e rispose: “In verità non so neppure da dove cominciare.” Il whisky cominciava a fare il suo effetto. Davanti a me c’era una carcassa d’uomo e questo mi lasciava non poco perplesso perchè lui era un avvocato di grido, con una moglie che lo amava e due eredi che lo veneravano. Da sempre ho avuto l’impressione che neppure uno scalpello avrebbe potuto scalfire la sua forte fibra. Lo ritenevo, da sempre, un uomo sul quale poter contare in ogni momento, e al quale Simona, donna piuttosto debole, poteva appoggiarsi con fiducia. E adesso era qui, tremante come un coniglio. ”Avanti, Emmanuele. Comincia a raccontare. Fece un lungo sospiro, annuì e prese la pipa tra le mani. Nonostante l’evidente tremore riuscì ad accenderla. Boccheggiò a lungo e profondamente espirando grosse nuvole che morivano sul soffitto. I suoi occhi erano socchiusi e fissavano il fornello della pipa. ”Corso Cavour”, sillabò infine. ”Corso Cavour numero centoquattordici. Un appartamento al terzo piano.” Restai ad attendere nuove notizie. ”In quella casa c’è una ragazza, morta. Qualcuno le ha sparato e poi le ha sfigurato…il viso. Il colpo deve esserle stato sparato a bruciapelo. Il viso…è completamente corroso dal vetriolo.” Rabbrividii: ”Vorresti dirmi che tù…””No, ma per chi mi hai preso!” Le sue pupille si dilatarono, accompagnando l’esclamazione. ”Non voglio che lo pensi neanche per un solo istante! Non sono io il suo assassino. Era questo che volevi chiedermi, vero?” ”Esattamente. Ma allora mi spieghi questo tuo tremendo stato di agitazione? Sei un uomo adulto. Ti sei già scontrato più volte con la morte.” ”Ma non in questo modo.” Presi dalla scatola un antico toscano. L’accesi con comodo, così da dargli il tempo di riordinare le idee. Dopo alcuni istanti riprese il suo racconto. ”Ti giuro che non l’ho uccisa io, Antonio. Ho solo ritrovato il suo corpo. Una scena…una scena orribile. Ho aperto la porta d’ingresso, sono entrato e guardandomi attorno non avevo notato nulla. Era sdraiata sul pavimento, Antonio. Camminavo soprappensiero e per poco non le cadevo addosso. Ho abbassato lo sguardo e l’ho vista. Era supina col volto interamente sfigurato. All’altezza del cuore aveva un enorme foro…”Versai ancora whisky nel suo bicchiere e lui cominciò a fissarlo per qualche secondo con sguardo assente. Poi svuotò il bicchiere, d’un sorso. “Hai avvisato le forze dell’ordine? Polizia? Carabinieri?” “No! Non potevo.” Gli lanciai un occhiataccia.” “Va bene”, dissi, con voce alterata. “Possiamo andare avanti per giorni a frasi spezzate, a dire e non dire, e saremo sempre allo stesso punto, non risolveremo nulla se non mi spieghi esattamente come stanno le cose, Emmanuele. Ad esempio, chi era quella ragazza?” “Clarissa Camprini.” “E tu che rapporti avevi con lei?” “Erano già alcuni mesi che pagavo l’affitto del suo appartamento.” Mentre mi parlava lo vedevo sempre più insistentemente, guardare verso la mia camera, in direzione del mio contrabbasso. “Ebbene si, la mantenevo. Le pagavo regolarmente il canone d’affitto, la vestivo con capi firmati e le elargivo somme per le spese giornaliere, ma ora è morta.” Restò ammutolito per un paio di minuti seduto in fronte a me, fissando le mie scarpe. Poi si abbandonò in una risata priva di allegria. “Oggi come oggi è quasi normale”, continuò poi. “Un uomo medio ha una famiglia che ama e dalla quale viene riamato. E poi si dà ascolto al canto delle sirene. Incontri sulla tua strada una ragazza giovane…Perché sono sempre giovani e belle, Antonio?” “Clarissa Camprini com’era?” “Aveva i capelli biondi come una buona birra, lunghi e fluenti a coprire le sue spalle nude; e…” Fece un’altra interruzione accompagnata da un sospiro. “Non sono stato io ad ucciderla, Antonio. Non sarei in grado di uccidere neppure una mosca. E non sono in possesso di nessuna arma. Ma non mi è possibile ugualmente avvisare le forze dell’ordine. Verrei torchiato come un grappolo d’uva per ore ed re, con un faretto sugli occhi, bombardato da una sequela di domande, a ripetizione Sarebbe come trovarsi di fronte ad un plotone d’esecuzione. Una situazione che, per la mia professione, conosco a tal punto da essere sicuro di non poterla sopportare.” “Si, ma una volta provata la tua innocenza, ti lascerebbero in pace.” “Può darsi, ma intanto anche Simona se ne andrebbe.” I suoi occhi si fecero umidi e arrossati. “Antonio, tua sorella è una donna meravigliosa. Io la amo follemente e non voglio assolutamente perderla.” “Se è proprio vero che l’ami…” “Perché l’ho tradita con Clarissa? Be, devo ammettere che non lo so. Ma posso giurarti solennemente che quella è stata la prima volta.” “E per quella ragazza provavi qualcosa?” “No. Si. Ma…Forse…Non lo so.” Sbuffai nervosamente. Non mi stava di certo facilitando il compito! “Come vi siete conosciuti?” Nel suo volto si leggeva un espressione d’impaccio, di timore. “Nel modo più banale che potesse capitarmi. Un giorno me la sono trovata nello studio, aveva trovato il mio nome sulle pagine gialle. Doveva risolvere delle controversie legali nei riguardi di un assicuratore che, secondo lei, si era comportato in modo disonesto nei suoi confronti. La tranquillizzai e le promisi di occuparmene personalmente e promisi di telefonarle non appena avessi avuto una risposta. Mi rispose che era sprovvista di telefono e che sarebbe perciò ritornata dopo un paio di giorni.” “Continua.” “Sul momento tutto rimase sotto il profilo professionale. Quando ritornò le comunicai alcuni sviluppi inerenti alla sua pratica, ma nient’altro.” Mi permisi di commentare che, secondo il mio modesto parere, quello raccontato mi sembrava un modo alquanto grottesco per iniziare un rapporto amoroso. “Si, effettivamente da un certo punto di vista…”, assentì. Lentamente andava rincuorandosi, riacquistava sicurezza. Ciò che non riuscivo a capire era il fatto che sembrasse più sconvolto dal pensiero della tresca commessa che della morte della ragazza. Una volta che si era liberato dell’enorme peso di questo segreto, il suo sistema nervoso poteva permettersi un po’ più di distensione. “Non aveva denaro, Antonio. Non avrebbe potuto pagarmi di certo la parcella. Le feci capire che quello non era un problema, che per il pagamento avrei aspettato a tempo indeterminato. Lei si mostrò alquanto imbarazzata della mia decisione e io per appianare questo clima di tensione che si era venuto a creare, la invitai a pranzo in un discreto ristorantino delle nostre colline. Sembrava un bimbo che per la prima volta entra in un negozio di giocattoli, Antonio. Mi disse che fino ad allora aveva sempre pranzato nei fast-food.” Feci una smorfia opportuna di apprezzamento. “Ed è in questo modo che tutto è cominciato, Antonio. Come inizio non è dei più poetici, lo so, ma chi può immaginarsi che da una richiesta di aiuto professionale potesse sortire una relazione amorosa?” Quello che stavo attraversando era un periodo della vita abbastanza particolare. I ragazzi sono ormai adulti, Simona ha il suo lavoro e le sue amiche, la mia posizione professionale è cosi stabile e sicura da diventare uniforme e noiosa. Il Padreterno è stato magnanimo con me, mi ha dato una brava moglie assieme a tutto il resto. Ma ad un certo punto mi accorsi che mi mancava qualcosa.” “E l’hai trovato in Clarissa Camprini?” “Proprio cosi.” Tolse il tabacco bruciato dal fornello della pipa mentre io mi accesi un sigaro. “Puoi non crederci ma stare con lei mi rendeva una persona totalmente diversa, Antonio. Mi sentivo ringiovanito di vent’anni, forte, vivo. Non ero più quel vecchio imprigionato dalla quotidianità. Diavolo porco, la sua vicinanza mi rendeva anche romantico! L’ho accompagnata varie volte a teatro, le ho regalato libri, dischi, gioielli, fiori. Accanto a lei mi sentivo un superuomo,“ boccheggiò più volte sulla sua pipa. “Sentirsi invincibile è una sensazione straordinaria. Il matrimonio significa molte cose, sicura comprensione e sincera accettazione reciproca; come dovrebbe essere. Ma…io, diavolo porco, ho rovinato tutto, Antonio, perché sono un incosciente irresponsabile.” “La vostra storia è durata alcuni mesi. Poi che è successo?” Mi scrutò in silenzio. “Ha iniziato a fare chiari riferimenti al matrimonio?”, domandai. “No. Assolutamente!”, esclamò. “Ci eravamo chiariti subito quale limite avesse raggiunto il nostro rapporto. D’altronde devi capirmi, Antonio: io non ho mai smesso di amare Simona, mai mi è passata per la mente l’idea di un divorzio. Ma Clarissa era il prototipo dell’amante tipo, contenta di restare nell’ombra, disponibile ogni qualvolta l’avessi voluto. E’ addirittura impressionante avere una tale influenza su di una persona.” Annuii con il capo. “E adesso è morta.” “Non ti senti di avvisare le forze dell’ordine.” “Antonio…” “Naturalmente mantenendo l’anonimato”, aggiunsi. “Così che possano indagare sul vero omicida.” Scosse la testa con tale forza che credevo si staccasse dal resto del corpo. “Le pagavo il canone d’affitto”, disse. “Le ho firmato parecchi assegni e ho trascorso lungo tempo a casa sua. Il vicinato si ricorderebbe di me e il locatore ricorderebbe il mio nome.” Con il fazzoletto si asciugò la fronte imperlata di sudore. I suoi occhi esprimevano allo stesso tempo terrore e indignazione. “Polizia e Carabinieri sarebbero subito sulle mie tracce, Antonio. Mi sbatterebbero al fresco. Sarei accusato di omicidio premeditato. Non credi?” “E’ molto probabile.” “E poi anche Simona saprebbe tutto”, concluse. “E puoi immaginarti che cosa potrebbe significare per lei venire a conoscenza di tali fatti.” Ne ero perfettamente al corrente. Quella unione, che per Emmanuele era divenuta una semplice abitudine, per Simona costituiva l’unico motivo di vita. Mia sorella viveva in un suo tenero, piccolo mondo dove in cielo brilla perennemente il sole, in cui suo marito è follemente innamorato di lei, e il Creatore veglia dall’alto dei cieli sulla sua famiglia che viaggia a gonfie vele e senza problemi di alcuna sorta. “Cosa pensi debba fare ora, Antonio?” “Faresti prima a dirmi che cosa posso fare io per te!” “Darmi il tuo aiuto.” “In che modo?” Puntò gli occhi sul pavimento. “Mettiamo per ipotesi che io richieda una tua prestazione professionale”, disse. “Si, insomma che sia venuto da te per…” “Non saprei se picchiarti e poi avvisare la polizia o cacciarti a calci. Di certo so che una di queste due soluzioni sarebbero attuate.” “Questo nel caso di un estraneo, ma io sono tuo cognato, un tuo parente…” “Affine, prego, non parente.” E mentre lui badava a giustificarsi pronto a strisciare viscidamente ai miei piedi, io non lo seguivo più. L’esile legame che ci univa mi stava coinvolgendo nelle conseguenze di un delitto. Già, perché se si trattasse di uno sconosciuto che cosa mi impedirebbe di sospettare che l’assassino fosse proprio lui. Oggi, con due o tre mila euro si acquistano, al mercato nero, pistole di tutti i tipi e coi numeri di serie accuratamente cancellati. Per sbarazzarsene poi, non c’è che l’imbarazzo della scelta, fiumi, laghi artificiali, fogne millenarie, campagna che circonda l’intera città. Insomma, le possibilità di cavarsela da questa brutta situazione non erano tante e un buon pubblico ministero lo avrebbe inchiodato alle sbarre in pochi giorni. “Non devono trovare il suo corpo dentro quell’appartamento”, dissi guardandolo confuso e sospettoso. “Altrimenti il collegamento con te sarebbe inevitabile. Qui sta la vera chiave del problema.” Scosse il capo in segno affermativo. “Bisogna non farla identificare”, continuai, “…perché, una volta che sanno di chi si tratta, risalgono all’appartamento e quindi a te, e tutto diventa terribilmente complicato. Era di Cesena?” Scosse il capo. “Aveva molti amici in città?” “Che sappia io nessuno, ma…” “Ma?” “Nessuno poteva vietarle di avere altri interessi. Della nostra vita generalmente non si parlava gran che.” Rimasi in silenzio. “Non riesco a capire, Antonio. Il suo obbiettivo era quello di riuscire ad entrare nel folto gruppo dei dipendenti pubblici, ed è molto probabile che avesse fatto la conoscenza di persone che avevano a che fare con quel mondo.” Ammisi che se il cadavere, ad esempio fosse ritrovato nel parco della rocca cittadina, la sua identità rimarrebbe sconosciuta per diverso tempo, forse per sempre, in questo caso sarebbe impossibile ricollegarla a chiunque. “D’accordo, ma il vero assassino che fine farebbe?” “Svanito nel nulla. Anche se non dimentichiamo che il vero assassino sei tu, o meglio, se le forze dell’ordine ti catturassero gli indizi in loro possesso sarebbero sufficienti per un’imputazione senza alcun bisogno di indagare oltre, e, naturalmente, il vero omicida la scamperebbe.” Feci una breve sosta per riprendere fiato. “Optando per la mia soluzione non diverresti il capro espiatorio di nessuno, il che farebbe loro molto comodo. Le indagini inizieranno così dal nulla, e non è escluso che così facendo non riescano a giungere ugualmente al vero omicida.” Il suo morale salì più rapidamente del mercurio di un termometro immerso nel tè bollente. “E non è finita qui. Io partirò avvantaggiato rispetto a loro; posso quindi condurre con speranza la mia brava indagine su Clarissa Camprini. Se c’era qualcuno che aveva una sola ragione per ucciderla, lo sniderò ovunque esso sia nascosto.” “Quindi tu sei convinto che…” “Io non sono convinto di niente, a dirti la sincera verità. Ma mi preme di salvare il tuo matrimonio, ecco tutto. Non mi va che mia sorella soffra e non voglio vederti accusato d’omicidio ingiustamente. Per questo motivo mi sento obbligato ad aiutarti, e a questo punto l’unico aiuto che posso darti è quello di rimuovere il cadavere per conto tuo.” Reclinò la testa all’indietro, prese a fissare il soffitto sfregando nervosamente le mani fra loro. Io lo osservavo attentamente. I suoi nervi, dapprima un fascio incontrollabile, di mano in mano che i minuti passavano si rilassavano, facendogli così riacquistare la padronanza su se stesso. Mentre l’osservavo, cercai di odiarlo con tutto il cuore. Era il marito di mia sorella e l’aveva tradita, e quella ragione bastava perché provassi nei suoi confronti un simile sentimento. Ma non mi riusciva. Aveva perso la testa per una ragazza; porco cane, come anche a me era successo, e anche più di una volta. D’accordo che lui aveva famiglia e io no, ma lo stato civile non modifica la chimica delle reazioni umane. Era un uomo nei guai e io dovevo aiutarlo. “Come posso esserti utile, Antonio?” Scossi la testa. “Faccio da me”, risposi. “Questa notte col favore delle tenebre e con le strade deserte. Correrò dei rischi, ma tenterò. E ora dammi le chiavi dell’appartamento.” Frugò nelle tasche dei pantaloni e le tolse da un cerchietto metallico. Le presi e le infilai all’istante nella tasca sinistra della mia giacca di tweed. “Ora vattene a casa, prendi un tranquillante e cerca di riposare.” Annuì, anche se probabilmente non mi aveva neppure sentito. “Il peggio deve ancora venire”, disse. “Ora Clarissa è soltanto un problema da risolvere alla svelta, ma già domattina tornerà ad essere quello che è sempre stata; la ragazza che conoscevo bene e che mi interessava moltissimo. E da quel momento sarà dura. Ti vedrò sollevare il suo corpo e scaricarlo, come un sacco di patate tra le aiuole inumidite del parco, e…scusami. Parlo, parlo come un forsennato.” Non feci alcun commento. “Sai, per me era una persona molto cara, e credo che anche a te sarebbe piaciuta.” “Emmanuele…” Con un gesto sdegnato allontanò la mano che gli porgevo. “Per diana, mi sento benissimo! Piuttosto ascolta, Antonio, domani non appena ti sarà possibile telefonami allo studio e mi raccomando stai attento.” Lo accompagnai alla porta. Poi mi portai sulla finestra che dava sul davanti e lo vidi entrare nella sua Mercedes grigio metallizzata, parcheggiata al di là della strada. Messosi al volante, indugiò qualche istante, poi girò la chiave e partì. Il cielo era coperto di cirri grigiastri e minacciosi. Il mio bicchiere era asciutto. Versai nuovamente del whisky, riandando con la mente alle parole che avevo sentito. E mi trovavo in un brutto guaio, perché un investigatore privato non può risolvere un caso d’omicidio occultando il corpo del reato; non può cominciare le indagini trasportando illegalmente un cadavere da un posto a un altro. Viceversa, collabora con le forze dell’ordine, resta nella legalità e incassa la sua parcella. Solamente così sarò in grado di pagare le successive rate del mutuo per l’appartamento che occupa un intero piano, ammobiliato con pezzi massicci dell’età vittoriana, spostarmi su di un auto, fumare sigari costosi e bere puro whisky irlandese. Io amo l’appartamento in cui vivo, la mia auto, il tabacco che fumo e il whisky di marca che sorseggio. Ed è per questo che collaboro con polizia e carabinieri e le mie mani sono pulite. Almeno fino ad ora. Questo cliente non era come agli altri, era mio cognato. Dovevo quindi affrontare tutti i suoi guai anziché risolvere un caso comune, il che mi faceva abbandonare le regole del gioco e sporcare così la mia coscienza di investigatore. Guardai il mio cronografo. Si era fatto tardi e, sebbene il bicchiere fosse vuoto, la bottiglia conteneva ancora parecchio whisky. Quando fu completamente vuota, mi feci una doccia gelata.

…continua…

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