Intervista alla narratrice Tiziana Silvestrin
autore dei romanzi I leoni d’Europa, Le righe nere della vendetta e Un sicario alla corte dei Gonzaga
tutti editi da Scrittura & Scritture
Tiziana Silvestrin è una narratrice mantovana che ha scritto tre riusciti romanzi ambientati nel XVI secolo a Mantova quando vi regnavano nel periodo del loro maggior splendore i Gonzaga e imperniati sulla figura del capitano di giustizia Biagio dell’Orso; si tratta di gialli storici in cui, nell’ambito di vicende realmente accadute, vengono inseriti anche dei personaggi di fantasia. La commistione fra realtà e inventiva é perfettamente in equilibrio e ciò non poco contribuisce alla qualità delle opere.
D: Quale è la genesi di questo trittico? In pratica Le chiedo come è venuta l’idea di scrivere questi tre originali gialli storici.
R: Quello che mi colpisce è il mistero che avvolge un avvenimento oppure un dipinto ed anche il fatto clamoroso spiegato in maniera poco convincente. Ad esempio nelle Righe nere della vendetta sono stata colpita dalla pianta raffigurata nel ritratto di Giulio Romano, un edificio a base circolare che nessuno storico è mai riuscito a identificare. Nelle mie ricerche ho scoperto che a quell’epoca di edifici a pianta circolare a Mantova ce n’erano due, di cui uno era la Rotonda di San Lorenzo, che ha però una struttura diversa, e l’altro una chiesa costruita su un antico tempio romano che si trovava nel lazzaretto di San Lorenzo: un nascondiglio perfetto. Nei Leoni d’Europa a colpirmi è stata la figura dell’Ammirabile Critonio e la sua strana scomparsa. Questo bellissimo giovane era il figlio del Lord Advocate di Maria Stuarda, aveva parentele influenti e non riuscendo a capire cosa ci facesse alla corte di Guglielmo Gonzaga, che certo non brillava per generosità, ho studiato la sua vita e ho scoperto le tracce di un complotto internazionale che coinvolgeva le corti di Mantova, Venezia, Milano, Parigi, la Spagna e Londra, oltre ovviamente al Vaticano. E nell’ultimo, Un Sicario alla corte dei Gonzaga, non mi convinceva il processo a carico del Pantara, un ladro di bestiame accusato di essere un emissario del duca Ranuccio Farnese, proprio nel periodo della guerra fredda tra lui e Vincenzo I. Ho quindi immaginato che dovesse esserci una spia ben addestrata, come sarà sicuramente avvenuto, con il compito di uccidere il duca di Mantova.
D: Capisco che esistono arcani misteri, elementi che possono colpire e far nascere quel processo di elaborazione inconscio che è proprio della fantasia. Nei suoi romanzi c’è però qualche cosa di più, c’è un profondo desiderio di ricerca della verità, e questo mi viene anche confermato dalla sua risposta. Dov’é, cosa significa quell’edificio a pianta circolare, che cosa ci faceva esattamente a Mantova il Critonio, è mai possibile che Ferruccio Farnese, spietato, ma anche scaltro si avvalesse di un sicario di infimo ordine? Sono tutte domande che si pone lo storico, il quale, a posteriori, cerca la verità. Sono libri, i suoi, che possiamo definire romanzi storici, ma che hanno anche caratteristiche di saggio storico. E così, anziché la ricerca dell’autore in prima persona, la missione viene demandata a un personaggio di fantasia, a un investigatore che ha tutte le caratteristiche per destare simpatia e interesse. Come è nato Biagio dell’Orso?
R: In effetti dietro ogni romanzo c’è un grande lavoro di documentazione e di ricerca, anche d’archivio; molto spesso le lettere rivelano più di quello che dicono, sui fatti storici. Inoltre curo sempre molto l’ambientazione, ho visitato tutti i luoghi in cui si svolgono le vicende di cui narro e quando non esistono più mi documento attraverso i quadri, le stampe o le piante degli edifici. Il convento dei domenicani dove si trovava il tribunale dell’Inquisizione a Mantova non esiste più, nemmeno la chiesa che è stata distrutta agli inizi del secolo scorso, solo il campanile è stato risparmiato; ma ne ho trovato la pianta in un libro dell’ottocento e servendomi di quella ho descritto il percorso seguito di notte dal figlio del boia per entrare e uscire.
Biagio dell’Orso era il capitano di giustizia al tempo di Guglielmo Gonzaga, un nome su alcune lettere conservate all’archivio storico, la persona comunque che aveva indagato sul “caso dell’ammirabile Critonio” e l’ho fatto diventare il protagonista dei miei romanzi. Il capitano di giustizia nel ducato di Mantova, così come in quelli di Milano o di Ferrara non era un’autorità indipendente, ma era un funzionario costretto suo malgrado a obbedire agli ordini del duca. Ne è uscito un personaggio tormentato che non si adatta ai rituali della corte e non si limita a eseguire gli ordini, ma segue il suo istinto e cerca la verità in tutte le sue indagini. Biagio è sopratutto un personaggio che prova una profonda compassione, adesso diremmo empatia, per tutti gli sfortunati, per coloro che non possono ribellarsi alle ingiustizie che subiscono. Nonostante il suo carattere, o forse proprio per quello, gode delle stima e dell’amicizia di molti, a cominciare dai consiglieri ducali che fanno di tutto per evitargli gli strali del duca quando prende a calci qualche nobile prepotente.
D: Quindi Biagio dell’Orso non è un personaggio inventato, è esistito veramente; frutto della creatività è la sua personalità di uomo insofferente alle ingiustizie e naturalmente propenso a prendere le difese dei deboli, degli sfortunati, insomma di chi non ha potere. Per certi aspetti assomiglia un po’ al famoso commissario Maigret, con la differenza che quest’ultimo non fa mai uso della forza. È d’accordo con questo paragone? Questa è una domanda, ma colgo l’occasione per porne un’altra: quanto c’è di lei in Biagio dell’Orso?
R: Grazie per il paragone più che lusinghiero; direi che per certi aspetti lo ricorda; anche Biagio nelle sue indagini riesce a cogliere i particolari che servono a collegarlo al colpevole, a capire i motivi che hanno portato al delitto e come lui non è molto socievole. Nell’epoca in cui è vissuto per far rispettar l’ordine l’uso della forza era praticamente inevitabile, le guardie avevano spesso di fronte banditi di strada e tagliagole, gente che non aveva nulla da perdere e che doveva evitare la prigione a ogni costo, viste la condizione delle carceri di allora e le punizioni inflitte, di solito corporali, inoltre negli scontri venivano usate soprattutto spade e pugnali, le pistole erano ancora molto imprecise e sparavano uno o due colpi al massimo, per cui si passava subito alle armi bianche. Anche le città erano molto di diverse da come sono ora, di notte le porte venivano chiuse, nessuno poteva entrare o uscire e data la presenza dei banditi che infestavano le strade era assolutamente impensabile uscire dalle mura senza avere una scorta armata. Per le persone comuni era anche molto difficile ottenere giustizia, se non si incontrava qualcuno come Biagio dell’Orso.
Quello che più mi accomuna al mio personaggio è l’insofferenza per i soprusi, le prevaricazioni e dato che sono un’ambientalista la lista delle cose che non sopporto si allunga con i reati contro gli animali e l’ambiente. Parafrasando un famoso film direi che “Questo non è un paese per idealisti”.
D: Purtroppo le ingiustizie sono di questo mondo, poi ci può essere il paese in cui sono più frequenti, ma direi che nessun stato ne è immune. Fino ad adesso abbiamo parlato di Biagio dell’Orso, protagonista principale dei tre romanzi, ma poi ci sono altri personaggi sempre presenti: mi riferisco al Donati, consigliere del duca, e allo speziale, di cui ora non mi ricordo il nome, e senza dimenticare il bargello. Questi tre individui sono resi molto bene nello loro caratteristiche, al punto che mi viene il sospetto che siano realmente esistiti. È così, oppure si tratta di un pregevole lavoro di cesello della fantasia?
R: Sono esistiti tutti e tre, ma solo di uno ho potuto reperire la biografia.
Di Gio Morisco è rimasta qualche relazione sulle risse che si è ritrovato a sedare, di Hyppolito Geniforti si conosce il suo coinvolgimento nel “caso dell’Ammirabile Critonio” e grazie, a un testamento, il contenuto della sua spezieria, compresa una stampa con l’insegna della sua bottega dove le foglie e i frutti della castagna d’acqua che fanno da cornice a una piccola Sirena.
Del prima medico di corte e poi consigliere ducale Marcello Donati ho avuto la fortuna di poter leggere la sua biografia con tanto di ritratto e da questa, oltre che da altri episodi in cui è stato coinvolto alla corte ducale, sono riuscita a dedurne il carattere. Il Donati aveva una straordinaria passione per la medicina e deve aver sofferto molto quando il duca Guglielmo gli ha chiesto di diventare suo consigliere; non si è opposto alla decisione del Gonzaga perché era un uomo estremamente tremebondo, ma credo di essere riuscita a farne un personaggio simpatico nonostante la sua vigliaccheria.
D: Direi che tutti e tre sono delle caratterizzazioni che riescono a renderli simpatici. Marcello Donati è certamente un pavido, ma non mi sentirei di definirlo vigliacco, perché non ha mai tradito Biagio dell’Orso, di cui è sincero amico. E la bella ostessa veneziana, la fidanzata che il capitano di giustizia vede solo quando ne ha l’occasione, è esistita pure lei? E già che ci sono, il simpatico vescovo del Monferrato non è di fantasia?
R: Rosa è uno dei pochi personaggi di fantasia, anche se sarebbe potuta esistere e forse è veramente esistita una donna così, rimasta vedova a causa della peste e costretta a portare avanti da sola l’attività del marito. Le vicende della peste le ho tratte da un manoscritto inedito conservato nella biblioteca di Verona di un notaio, Rocco de Benedetti, che racconta cosa succedeva a Venezia durante la peste del 1576, lo stato d’animo delle persone, l’impegno dei medici, la vita nei due lazzaretti. Lo Zibramonti invece è realmente esistito e dato che ha avuto il cattivo gusto di morire nel 1589 ho dovuto, con molto dispiacere, separarmene a metà di un romanzo. Adoravo le sue battute, riusciva a sdrammatizzare anche le situazioni più tese e riusciva a tenere testa anche al duca Guglielmo, cosa non facile assicurano i contemporanei.
D: Direi che il genere è il giallo, ma più che altro si tratta di romanzi storici particolari in cui gran parte dei personaggi e delle vicende sono realmente esistiti e accadute. Viste le ricerche effettuate e nonostante la taccagneria del duca Guglielmo la Mantova dell’epoca può essere considerata un’isola felice, o comunque dove si stava meglio, rispetto ai territori delle Signorie attigue? Se non vado errato c’erano perfino un ospedale e un ospizio.
R: Ospedali o comunque posti in cui potevano trovare rifugio derelitti di ogni tipo si trovavano in tutte le città, a volte erano palazzetti riadattati, come nel caso dell’ospedale del lazzaretto di Mantova, a volte erano invece edifici costruiti appositamente come ad esempio l’Ospedale degli Innocenti edificato dal Brunelleschi dove venivano accolti gli orfani. Anche a Mantova c’era un orfanotrofio “Al misericordia” posto sotto la diretta protezione dei Gonzaga; in quell’edificio ora si trova l’Università, e c’era anche un rifugio per le “donne perdute”che decidevano di cambiare vita dedicato ovviamente a Maria Maddalena. Se fosse un’isola felice non so dirlo, essendo un piccolo ducato i rapporti tra i Gonzaga ed i sudditi erano più stretti rispetto ad altre corti e questo li induceva ad intervenire prontamente in loro aiuto. Ricordo le lamentele di Francesco II che dalla sua prigione di Venezia si lamentava del fatto che la moglie, Isabella d’Este, si preoccupasse più del benessere dei mantovani che delle sua liberazione; del resto lui l’aveva tradita con una contadina, come darle torto? Anche Vincenzo era generoso, quando si ebbe una inondazione del Po, fece tutto quanto era in suo potere per aiutare chi era stato danneggiato.
D: Sì, probabilmente le ridotte dimensioni del ducato facevano sì che la vita fosse meno incerta, soprattutto in occasione di carestie e di altre calamità naturali.
È un trittico che mi è piaciuto molto e credo di poter dire che gli altri che leggeranno questi tre romanzi finiranno con l’appassionarsi, come me, a questi personaggi che destano un’immediata simpatia. Il ritmo costante, non veloce, ma comunque non lento, l’intreccio ben congegnato, l’atmosfera dell’epoca in cui ci si immerge, le descrizioni dei luoghi che sembrano materializzarsi davanti agli occhi sono tutti elementi positivi che, perfettamente fusi, portano a un rasserenante appagamento. Purtroppo, giunto al termine di Un sicario alla corte dei Gonzaga, mi è sorto un timore: che fosse l’ultimo. Ma, a pensarci bene, c’è una speranza che non lo sia e sta nell’ultima frase di Marcello Donati a Biagio dell’Orso: “ C’è qualcosa che devi vedere, qualcosa …di spaventoso.”.
Mi pare logico che una simile conclusione lasci spazio a un seguito e di questo gradirei avere conferma.
R: Certo, c’è un quarto romanzo in cui i lettori ritroveranno tutti i personaggi dei libri precedenti, compreso l’illusionista Colorni e la sua giovane figlia che dopo averne combinate di tutti i colori vengono costretti ad aiutare Biagio dell’Orso per evitare di essere arrestati. Anche per Colorni mi sono ispirata a un ebreo mantovano che è realmente esistito. Il titolo che gli ho dato è L’oscura ombra della magia, ma sui titoli io e le editrici bisticciamo sempre. Non so cosa anticipare di questo nuovo romanzo perché è un susseguirsi di colpi di scena e non vorrei rovinare la sorpresa, posso solo raccontare che il capitano di giustizia e il povero Marcello Donati si ritroveranno a dover sventare una congiura dell’oscuro ordine cavalleresco del Cigno Nero.
D: A proposito di nomi di personaggi che risultano effettivamente esistiti, la stessa cosa può dirsi per attività commerciali? Per esempio la “locanda del cane che abbaia alla luna“, un nome così poetico, é di sua invenzione ?
R: La “locanda del Cane che abbaia alla luna” era aperta sino a metà degli anni sessanta, ero a una trasmissione televisiva per presentare “Le righe nere della vendetta” quanto ci telefonò in diretta proprio la proprietaria che la gestiva. Tutte le locande e le osterie che cito nei miei romanzi come Il pavone, dove va spesso Biagio dell’Orso, la Croce Bianca, i Tre scalini esistono dal quattrocento se non da prima ancora, come possono testimoniare in qualche caso gli affreschi che ancora decorano le loro pareti. A casa ho un ingrandimento di una pianta di Mantova disegnata all’inizio del XVII secolo, la stendo sul tavolo della cucina e quando devo scrivere verifico il percorso che i miei personaggi avrebbero potuto fare all’epoca tra le antiche contrade ed edifici che non esistono più, come purtroppo la spezieria alla Syrena distrutta ad una bomba durante la seconda guerra mondiale.
Grazie per la piacevole intervista e allora non ci resta che attendere l’uscita del quarto romanzo e, per ingannare il tempo e non solo, il mio consiglio, questa volta rivolto a chi legge, è di prendere in mano i precedenti tre per immergersi in un’atmosfera unica e in una lettura particolarmente avvincente.