2011
7
Gen
Storie da Città di Solitudine e dal km. 76
di Nunzio Festa
Commenti (
antologia di
Giovanni Sicuranza
Youcanprint edizioni
(2010), pag. 316
Appuntiamo,
mentalmente e non solo mentalmente, tutti questo nome, Giovanni Sicuranza. E,
ovviamente, sapendo che anche potremmo utilizzare in futuro l’e-mail homointerrogans@gmail.com
o il blob http.//sicuranza.blogspot.com; per avere, domani, informazioni
aggiuntive. E, magari, anzi senza dubbio, nel futuro prossimo: che questo nome
deve diventare sempre più noto: questo autore ha un talento che da queste righe
sbuca senza difficoltà alcuna. Da “Storie da Città di Solitudine e dal km. 76.
Giovanni Sicuranza, riconsideriamo, è nato nella nordica e freschissima
Gravedona nel ’67. Ma risiede a Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna.
Medico Legale di professione, ha svolto il ruolo di Consulente della Procura di
Bologna e di Brescia e del Tribunale del Lavoro di Bologna. E attualmente si
occupa in prevalenza di Medicina Sociale. Come penna, la sua prima raccolta di
racconti è datata 2006, ed è rintracciabile sotto al titolo “maschere”, nonché,
‘giustamente’, venuta alle stampe con lo pseudonimo, appunto, di homo
interrogans. Con prefazioni, addirittura, degli scrittori Eraldo Baldini e Valerio
Evangelisti. Poi le partecipazioni ad antologie collettive. Fino, infatti,
all’approdo nel volume prefato da Giancarlo De Cataldo, per i tipi della sempre
attentissima Meridiano Zero di Padova, e titolato “La legge dei figli” (mentre
il racconto di Sicuranza è “Il museo delle cere”). Il suo primo romanzo è
datato 2009: “Quando piove” (Montag). Ma non finisce qui. Chi scrive, a onor
delle vero, deve un ringraziamento particolare, per l’illuminazione, la
conoscenza dell’autore, all’indomabile salentino Stefano Donno. Sicuramente in
ritardo, io, eppur con la volontà e la voglia di saperne di più. Questo romanzo
underground, che lavora al pari d’una raccolta di racconti e, nel contempo,
propone personaggi vivissimi al pari dei romanzi meglio strutturati, questo e
queste “Storie da Città di Solitudine” fanno capire quanto fantasia, dunque che
onirismo, è buono a esprime Sicuranza. Il custode d’un cimitero, per
trent’anni, viaggiava sulle storie/vite quindi davanti alle lapidi del cimitero
di sua competenza. Accanto al paese di Fine Viaggio, non fuori dalla mura come
avrebbe voluto Napoleone il Condottiero, e tra il racconto al padre che lo ha
fatto storpio e l’odore della madonnella conficcata nello stesso camposanto.
Almeno fino a quando entrano in scena, esattamente al pari d’uno spettacolo
teatrale “la donna” Carmen e Omero Agnosia. Quest’ultimo è un rappresentante
d’enciclopedie che contiene egli stesso nozioni di storia, che vuole narrare.
Almeno fin quando arriva l’altro personaggio del romanzo fitto fitto, un
violinista. Lo strabiliante maestro Camillo Fadore. Tra la nebbia degli uomini,
la nebbia dagli uomini, insomma, e il mare. Fra Fine viaggio e il chilometro
76. Col richiamo, costante del Cimitero di Solitudine. Gli intrecci della
trama, sono abbracci di morti. Benedetti dal parroco don Livio. “Il latte che
si scalda nel pentolino. La fiamma è danza azzurra e gialla sugli occhi rossi
di pianto e stanchezza”. Questa descrizione, quest’immagini temporanea ed
estemporanea d’una frazione di Romilde può spiegarci da sola l’ambientazione
ideale dell’opera. L’atmosfera del libro. Come, esattamente, possono farlo
certa altre righe del soggetto chiave dell’opera, porzioni di storie di Fine
Viaggio direttamente dal cimitero dell’antico paese: “Scricchiola il dolore
sulle articolazioni, scivola nelle pieghe del viso e le scava fino a spezzare
il respiro. Il custode ha lo sguardo antico della sofferenza mentre si
arrampica nell’aria della notte – è qui il sentire della scrittura accurata di
Giovanni Sicuranza - . Quando, piano, raggiunge la cima della sua statura,
guarda negli occhi la fragile intuizione dell’alba. E lascia fluttuare il capo
in lente ondate di perplessità”. Sapremo ancora di Sicuranza.
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