Monica Cito
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Domenica 10 dicembre 2006 si è celebrato in tutta Italia il “Luisona Day”: un’iniziativa di promozione e diffusione del reading letterario in bar, caffè letterari ed affini, che parte dal web (www.stefanobenni.it) per farsi circuito interattivo non più solo virtuale.
Monica Cito è stata invitata dal movimento culturale “Il Paese Incantato” di Carosino (www.carosino.net - ilpaeseincantato@carosino.net), una cittadina in provincia di Taranto, a dare lettura di brani del suo romanzo “Venere, io t’amerò”.
Il luogo scelto per il reading è stato il bar “New Pride”, nei pressi dello stadio comunale.
Prendendo spunto da questa iniziativa, il giornalista Giuseppe Petralia ha intervistato Monica intorno al significato e il senso dell’essere giovani scrittori oggi.
Essere scrittori oggi: per te cosa significa?
Scrivere per me significa essere un’autrice sociale, una piccola De Amicis, innamorata dell’essere umano, dei valori del rispetto e dell’appartenenza, della mano tesa alla scoperta intima dell’essere in una nazione e del volerci rimanere malgrado gli intoppi e i grandi nomi e le più o meno complesse operazioni editoriali.
Come impronti e vivi il rapporto coi tuoi lettori?
Quei pochi che mi hanno sentito leggere stralci del MIO “Venere, io t’amerò” hanno apprezzato, dialogato, squisitamente disquisito con me intorno all’essenza dell’essere umano, al profondo senso perduto della giustizia, al profumo novello di quel vino chiamato letteratura.
Si è potuto dimostrare, lavorando alla ricerca di lettori, che la letteratura non è interiora auctoris, defecatio crudele, ma scorrer di sangue e verità e forza e caparbietà nell’esprimerla, malgrado un piccolo marchio editoriale, un piccolo nome di donna bassa di statura stampigliato in prima di copertina. Si è potuto comprendere che la vita è nella penna tanto quanto è nella vita stessa; che la fantasia narrativa può e deve scalfire il noto e l’ignoto della terra.
A Voi “pochi” miei amati lettori tante volte invitati (… se mi sarà concesso o se troverò sistemi per rivendicare…) alla cena della carne, del dolore, è rivolto un RINGRAZIAMENTO che travalica i confini della carta segnata privatamente in appartenenza, affinché lo scrittore – quello vero – come un animale possa segnare il confine del suo sentire, il profumo del proprio resistere imbracciando inchiostro. A Voi, a Noi, miei lettori, tutta la stima; perché aver lettori oggi possa ancora significare parlare di letteratura; quella vera, quella che scalcia sempre con lo spirito d’un neonato che necessita di essere e divenire.
La letteratura come engagement, denuncia e testimonianza, ha dunque ancora senso oggi?
È dura per noi, giovani di questa Italia maldestra, sognare, e il letterato, converrai, deve sognare; perché se i sogni svanissero, non rimarrebbe su che argomentare, disquisire, ragionare.
Il noi è quasi perduto, l’anomia minaccia, il rimanere a galla dei vecchi stilemi uccide la giovinezza. Scrivere potrebbe aiutare. Sapere che c’è una donna giovane su un palco ad esclamare la libertà, la speranza.
La letteratura è il lettore, quel suo cadere fra le braccia di un’espressione, quel suo sapere che c’è ancora chi possa descriverlo, far sentire che è vivo, osservato, considerato, ascoltato, trasportato, non scacciato, immerso in un sistema di libertà possibilità cambiamento. È alzare il tiro, posizionare il mirino, scoprire il sangue di noi tutti che scorre attraverso le grandi e piccole questioni del nostro tempo. La letteratura – quella vera – può e deve sempre denudare il nervo, comprimere la forza, svitare il grande bullone della rabbia; far sì che un giovane possa, nel chiuso dei suoi pensieri, contemplare la pagina e, con essa, la propria vita. LA PROPRIA VITA SPEZZATA sempre, malgrado si tratti di flessuoso e caparbio ramo di fico.