ultima notte di veglia
Il soldato, completamente ubriaco, chiamò:
“Santo!”
Santo, suo amico e commilitone, non rispose.
“Santo, sono fottuto…”
Il soldato guardava le case dall'altra parte della strada. Non volevano star ferme: prima fluttuavano a destra, verso il palazzo di giustizia, poi rollavano a sinistra. Si rendeva conto di essere stravolto dall'alcol, e la cosa lo divertiva. Sussurrò ridacchiando:
“Che botta. Che botta. Sì che sono fottuto.”
Ruttò e gli arrivò in bocca un sapore di alcol vecchio, cattivo, acido, che gli spense il sorriso in una smorfia di disgusto. Sputò per terra e ruttò ancora, portandosi le mani al petto. Raccolse la borraccia che aveva lì vicino, piena di vodka ancora per metà -almeno un paio di litri. Molto bene, pensò il soldato soppesandola, poi diede una lunga sorsata.
La vodka calda è miele assurdo, dolce e bruciante. La sentì scendere fin nelle budella, e lì giacere crepitando come brace. Si alzò in piedi lentamente, attento a non cadere. Salì sul gradino del marciapiede e si guardò attorno. Era al centro di una piazza, tra mucchi di calcinacci ed edifici d'epoca rovinati dalle crepe, coi muri anneriti e le porte sfondate. Lontano vide un grattacielo, uno dei pochi rimasti. Gli ultimi piani erano avvolti dalle fiamme, e un pennacchio di fumo nero s'alzava dalla sommità , fumo chimico di gomma, vetro e plastica. Allargò le braccia, attore sul palcoscenico della sua sbronza, e pensò: la città ! Guardate quant'è grande, guardate com'è cresciuta, come una grossa muffa! Guardate la città !, come sta morendo! Guardate laggiù la splendida sopraelevata a tre corsie, che prima era sempre intasata di auto! Quante maledizioni avete lanciato, bloccati nel traffico, che c'era da tornare a casa dal lavoro?
E guardatela adesso, deserta. Sfondata, abbattuta come un serpente morto!
Dietro di lui, al centro della piazza, c'era una fontana senz'acqua. Era solo una corona di marmo attorno a un condottiero di bronzo, che sorgeva col suo destriero da un piedistallo antico, sempre di marmo. Aveva l'impeto e lo slancio di un morto che, per vendetta, ritorna dalla tomba rabbioso e impazzito. Il cavallo scalpitava nell'aria, per metĂ fuori dal piedistallo, con la testa girata di lato e le briglie tirate. Il condottiero puntava in avanti, col braccio teso, la sua spada annerita.
Il soldato s'era dovuto ubriacare prima di riuscire a guardare il condottiero negli occhi -quegli occhi grandi, sporgenti e spalancati, le pupille fatte con due colpi di scalpello.
Santo, invece, riusciva a sostenere lo sguardo pazzo della statua senza aver bevuto niente. Stava lì zitto e fissava il condottiero.
Santo, un uomo dall'appetito insaziabile, gran cuoco e gran mangiatore. Era anche un mago, per alcuni: riusciva a trovare del cibo nelle situazioni più impensate. Una mela, una carota, un pezzetto di carne secca… un paio di volte persino delle tavolette di cioccolato, roba rarissima in tempo di guerra. C'era chi diceva avesse fatto un patto col diavolo per aver sempre qualcosa da mangiare a portata di mano. Un tizio della sedicesima compagnia, un soldato di carriera che aveva studiato letteratura, scuoteva la testa e diceva: “Voi non capite. Nessun patto col diavolo! Il diavolo gli avrebbe concesso molto più di qualche pasto... oro, potere, donne… mica tre pagnotte e un pezzo di salsiccia! No, il diavolo non c'entra con Santo. Secondo me ha dalla sua parte solo qualche spirito dell'inferno che lo aiuta. Un miserabile del terzo girone, per esempio.”
...continua...