Sette Boccate Sette
Devo smettere di fumare: lo so: è un dato di fatto, quello che fumo troppo. Ma o smetto di fumare e ingrasso dieci chili in due settimane, giusto per arrivare ben preparata alla prova costume, o finalmente mi decido a non smettere: tanto non sono capace. La Cristiana dice che le persone si dividono in due categorie: quelle che fumano ma è come se non fumassero, come l'Ester, che accende dalle sette alle dieci sigarette al giorno e non aspira neanche un po'; e quelle che fumano e farebbero bene a smettere ma non smetteranno mai, vuoi perché la sigaretta è diventato un prolungamento del braccio, vuoi perché il tabaccaio è proprio un gran figo, vuoi perché se non ti sfoghi con il fumo lo fai con il cibo, visto che di farlo con il sesso, almeno per noi, non se ne parla.
“Senti ti trema la mano ma che hai?” mi chiede la Cristiana, mentre boccheggio durante la lezione di greco. Finisce sempre durante la lezione di greco che boccheggio. Mi chiedo sempre perché. Risposa: il greco non lo so e mi annoio, quella che parla è una rottura presuntuosa zoccola mostruosa e mi annoio, la scuola non fa per me e mi annoio. Resta però che dopo i primi dieci minuti, durante i quali ho fatto di tutto per tenere viva la mia attenzione sulle parole che si disperdono nell'aria mentre quella spiega, mi perdo. Prendo poi la sigaretta dall'astuccio. L'accendino. Metto tutto in mano: “Posso uscire?”. E così ritorno nella categoria fumatori a oltranza, scaraventata con violenza. Quando torno in classe poi puzzo e tutti mi guardano male: ma la pianti di fumare? E la pianterei pure, se solo ci riuscissi, a non mettermi la cicca in bocca. Accendere. Godere.
Stamattina, come ogni lunedì, poi, la storia è diversa: stamattina smetto: stamattina, cambio. Entro con dieci minuti di ritardo, in mano un pacchetto di gomme da masticare. Le impugno neanche fossero cento dollari. Le impugno e le muovo, aritmicamente, come per distrarmi che sono le otto e non ho ancora acceso un cazzo. Sono senza pacchetto, il tabaccaio è chiuso, in ferie chissà dove a gennaio, ma cos'hanno in testa i commercianti della zona?, l'accendino in tasca: ma che me ne faccio? Tanto non so cosa accendere. Gente che fuma, davanti a me. La bidella che si tiene in mano la sigaretta, il giornale, il caffè, neanche un'acrobata in piena evoluzione. Il professore che parla al cellulare e che dice, casomai alla moglie incazzata, che è a scuola e che no, non si può muovere, mentre aspira, aspira, aspira. Studenti con decine, centinaia, migliaia, di rotoli con filtro, catrame, nicotina. Io, sola, con un pacchetto di gomme da masticare. Che guardo.
E: “Scusa me la dai una sigaretta?”.
E tutti: “E' l'ultima, scusa te”.
E io sola, ancora. Neanche nel peggior incubo dove mi bocciano alla patente perché mentre stavo partendo all'esame non mi sono girata a vedere se dietro c'era qualcuno, che tanto non c'era nessuno no, chi vuoi che vada per strada di pomeriggio, alle due e mezza in un maledetto e piovoso mercoledì di aprile? Lì finiva che guidavo con il foglio rosa che la polizia mi fermava e mi mettevano in galera: ma in galera si può fumare. A meno che Sirchia non sia arrivato anche lì. A meno che.
Fatto sta che tutti fumano e hanno appena finito il pacchetto. E io li guardo e mi piango addosso. Poi vado nel bagno e ancora: “Mi dai una sigaretta?” dico. “Le ho finite”, la risposta. E poi di nuovo in classe a sentirmi quella che parla e l'agitazione che cresce perché io voglio fumare, necessito della sigaretta in bocca e non posso no, non accendere, anche a costo di raccogliere l'erba dal cortile, separarla dalla ghiaia e infilarla in un foglio di carta: devo aspirare. E poi, di nuovo, in bagno, alla ricerca. Davanti a me Caterina: sedicianni. Prorompentemente brutta. Naso schiacciato e fronte larga. Larghissima. Bocca piccola, dai contorni confusi. Denti con gradazioni dal marrone al giallo: l'arcobaleno del fumo. La guardo: è lei: la preda. Tento l'approccio.
...continua...