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2011
22
Mag
Massimo d’Azeglio
Commenti (Il sogno di una
Italia diversa

Introduzione
dell’autore
Edizioni Solfanelli
Storia biografia
Collana Saperi
Pagg. 128
ISBN
978-88-7497-722-2
Prezzo € 10,00
Un messaggio quanto mai attuale
“Credo che non ci
sia Paese al mondo dove abbondi nel popolo il buon senso, e dove insieme
comandi tanto quella minorità che non ha cultura, né carattere, né giudizio…
…Onde l’Italia
veramente risorga v’è qualche cosa che passa innanzi all’Indipendenza e alla
libertà…V’è una base da porre a fondamento di tutto l’edifizio, senza la quale
si sarà edificato sulla rena; la base della probità politica, del senso morale.
Massimo d’Azeglio”
Massimo Taparelli, marchese
d’Azeglio, più conosciuto come Massimo d’Azeglio, in quanto lui stesso
detestava quel cognome così poco aristocratico, è un personaggio famoso, almeno
di nome, ma se ai più si chiede a che cosa sia dovuta questa sua notorietà, le
risposte diventano vaghe, perché ben pochi riescono a inquadrare esattamente
questa importantissima figura del nostro Risorgimento. Quasi con lo scopo di
fare ampia chiarezza Paolo Pinto ne ha scritto al riguardo un’ampia, esauriente
e interessante biografia.
Massimo d’Azeglio è uno dei non
infrequenti geni italici che spuntano qua e là nel nostro paese, ma alla causa
della nostra indipendenza poco interessano le sue qualità di pittore, un po’ di
più invece quelle di letterato, visto che è l’autore di opere tese a riscoprire
l’italianità come Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta, e,
soprattutto, Degli ultimi casi di Romagna, ispirato ai moti di Rimini
del 1845, e I miei ricordi, autobiografia di grande valenza politica.
Animo irrequieto, soprattutto in
gioventù, girò in lungo e in largo per l’Italia, non solo a caccia di gonnelle
– il suo sport preferito -, ma anche per verificare sul campo le enormi e
profonde differenze esistenti fra gli italiani dei vari staterelli in cui
allora era diviso il nostro paese.
Sinceramente liberale, ma non solo
puramente idealista, bensì anche dotato di un invidiabile pragmatismo, si
adoperò per unificare in unico stato tutti gli italiani, e non lo fece da
comprimario, ma da regista, sia pure non così eccelso come il suo amico e
avversario Camillo Benso conte di Cavour.
La consapevolezza delle tante
differenze esistenti fra italiani del nord, del centro e del sud, lo portò a
considerare l’ipotesi, non certo fantasiosa, di conservare gli stati
preesistenti, unificandoli tuttavia in una grande confederazione sul modello
dell’unità tedesca.
Come è noto, non riuscì
nell’intento, e assume quindi ancor più significato la sua famosa frase “Abbiamo
fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani”. Comunque, oggi, forse più
che allora, si avverte l’esigenza di uno stato, libero e democratico, non
accentratore, bensi strutturato come una confederazione.
Nonostante gli incarichi di rilievo
ricoperti da d’Azeglio, fra i quali la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
la sua visione così avveniristica non poté concretizzarsi da un lato per
l’immobilismo politico e istituzionale della monarchia sabauda, e dall’altro
per l’ostruzionismo pressante dei mazziniani e di quelle correnti innovative
che nella seconda metà del XIX secolo sarebbero state poi chiamate socialiste.
Resta, comunque, un personaggio da
onorare fra quelli che furono i padri fondatori dello stato Italiano, per la
sua costante attenzione a pervenire all’unificazione delle popolazioni
italiane; lui, che era piemontese, per primo si sentiva italiano, lui, che era
aristocratico, per primo era liberale, per nulla conservatore, aperto al
dialogo, abile diplomatico (sarà merito suo se le condizioni di pace imposte
dall’Austria dopo l’infausto esito della prima Guerra di indipendenza furono
alquanto ridimensionate nelle richieste avanzate dal vincitore e ovviamente a
beneficio del Regno di Piemonte).
Inoltre, cristallino com’era, aveva
ben capito che un nuovo Stato, come del resto ogni stato, per poter progredire
necessita di probità politica e di senso morale, condizioni che evidentemente
all’epoca latitatavano e che a distanza di 150 anni dall’Unità ancora
reclamiamo a viva voce.
Scritto in modo snello, intercalando
vita pubblica e privata, Massimo d’Azeglio è uno di quei libri
che si leggono con grande piacere, con la consapevolezza di imparare qualche
cosa di nuovo, o comunque di comprendere il perché di un’unità senza identità,
di uno stato tanto lontano dai suoi cittadini quanto questi lo sono spesso fra
di loro.
Paolo Pinto,
giornalista e scrittore, coltiva con uguale passione letteratura e storia,
convinto che la “finzione” letteraria possa significativamente contribuire alla
ricerca della verità storica ed esistenziale.
Fra le sue opere di carattere storico-biografico ricordiamo:
Fra le sue opere di carattere storico-biografico ricordiamo:
Carlo Alberto - Il
Savoia amletico (Camunia 1986 e poi Rizzoli-BUR 1990);
L’amore segreto di
Cavour
(Camunia 1990), racconto documentato e analitico della storia intensa e dolente
di Nina Giustiniani e del giovane Camillo Benso di Cavour;
Vittorio Emanuele
II - Il re avventuriero, (Mondadori, Le Scie, 1995; Mondadori,
Oscar-storia, 1997; “Biblioteca storica” de “Il Giornale”, 1993);
Umberto I - Il
Savoia che non voleva essere re (Piemme 2003).
È del 1994 la pubblicazione, per i tipi Aquarium, del pamphlet politico, con prefazione di Indro Montanelli, Una repubblica in rovina.
Tra i lavori di carattere letterario è stato curatore e prefatore di opere di Diderot, Balzac, Flaubert, Dickens, Stevenson, Baudelaire, Poe, Bontempelli, e dello stesso Azeglio. Di particolare rilievo la pubblicazione, nel 1990, per i tipi della Newton Compton, dell’opera di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, la prima condotta nel nostro paese sul testo stabilito da Tadié, pubblicato in Francia da Gallimard nella Biblioteca della Pléiade.
È del 1994 la pubblicazione, per i tipi Aquarium, del pamphlet politico, con prefazione di Indro Montanelli, Una repubblica in rovina.
Tra i lavori di carattere letterario è stato curatore e prefatore di opere di Diderot, Balzac, Flaubert, Dickens, Stevenson, Baudelaire, Poe, Bontempelli, e dello stesso Azeglio. Di particolare rilievo la pubblicazione, nel 1990, per i tipi della Newton Compton, dell’opera di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, la prima condotta nel nostro paese sul testo stabilito da Tadié, pubblicato in Francia da Gallimard nella Biblioteca della Pléiade.