2010
17
Mag
100% Sbirro
di Nunzio Festa
Commenti (
Avventure e
disavventure di un poliziotto della Catturandi
prefazione di Gian
Carlo Caselli
con una nota di
Guido Marino
introduzione di
Raffaella Catalano
postfazione di
Giuseppe Tiani
Dario Flaccovio
(Palermo, 2009)
pag. 274, euro 13.00
“Io entrai in quella ristrutturazione a
vent’anni appena compiuti, con nessuna esperienza e con il cuore e la testa
tesi verso un unico scopo: trovare i responsabili delle stragi e riscattarmi
agli occhi del mondo. Ero siciliano, palermitano e combattevo la mafia”. Queste
parole sono di I. M. D., e potrebbero essere l’incipit del volume; invece sono
adagiate a pag. 33. Dove, però, fanno capire con quale spirito il poliziotto
della palermitana squadra mobile Catturani entrò a far parte del gruppo. Dove,
inoltre, abbiamo già capito che le parole sono sì arrivate grazie alla
mediazione dell’attentissima e indispensabile giornalista, ed editor appunto,
Raffaella Catalano, ma che allo stesso tempo il racconto del poliziotto, che
ovviamente non può mostrare il suo vero nome, è più che appassionato. Si
tratta, anzi, quasi d’una testimonianza a presa diretta. In questo breve
passaggio, per esempio, I.M.D. spiega che siamo subito dopo gli assassini di
Falcone e Borsellino e delle loro scorte. Giorni e mesi e anni di tensioni
altissime. Dice bene Camilleri, che: “alla fine vi sembrerà d’aver letto un
rude e appassionato romanzo poliziesco, invece si stratta della vita quotidiana
di un poliziotto della Catturandi”. Nulla a che vedere, comprendiamo, col
titolo stranamente infelici del libro, però pagine che sono, ripetiamo, le
abitudini d’un poliziotto della sezione Catturandi della Squadra mobile di
Palermo. Quindici anni, più esattamente, d’attività d’un investigatore che è
stato uno dei grandi artefici dei più importanti arresti di mafiosi. Un volume,
inoltre, che tiene insieme alcune altre testimonianze scritte, quelle di
colleghi di I.M.D., che per scrivere di vicende particolari si firmano con il
loro nome di battaglia vicino al loro soprannome. In settimane che sono sempre
alimentate da oltraggio degli sbirri alla dignità e alla società intera, fa
sempre piacere ricordarsi come esista all’intero del immenso corpo della
Polizia spazio e lavoro di gente che ogni giorno e da mattina a sera indossa la
propria pistola per cercare d’assicurare alla giustizia delinquenti che sono
parte significativa del potere dominante e che normalmente tengono sotto i loro
piedi i più deboli. Il sacrificio di queste persone, uomini che nella maggior
parte dei casi non hanno e non avranno glorie, sconfigge almeno una parte della
vergogna che la Polizia deve provare per aver abusato e per quando abusa grazie
al proprio ruolo. La sinergia, pare dirci in più questo racconto a quattro
mani, fra giudici e poliziotti, e possibilmente la parte più in alto dello
Stato non ancora vendutosi a Cosa Nostra ci dice che esiste sempre un tragitto
verso il riscatto sociale.
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